Protagonisti
Visual Display

“Interior, identity, stories”: con questo claim si presenta Visual Display, creative company specializzata nell’ideazione di progetti di branding e interior design in ambito retail, office, hospitality e bar & restaurant

Fondato nel 1999 da Giorgio Di Bernardo e Chiara Endrigo, lo studio Visual Display di Udine si è con il tempo arricchito di ulteriori figure: oltre a Rune Ricciardelli e Giulia Minozzi, che dirigono il reparto creativo, una compagine di professionisti con un approccio integrato al progetto. L’attenta analisi degli obiettivi da raggiungere e una grande attenzione per gli stili di vita e le tendenze più attuali contraddistinguono il team, capace di interpretare il presente con spazi eleganti, scenografici e dall’anima spesso ibrida, il cui linguaggio non smette di guardare all’arte, alla moda, alla storia e alle diverse culture vernacolari.

Da chi è composto il team di Visual Display?

Chiara Endrigo: Siamo quattro soci con un team eterogeneo di professionisti. Giorgio Di Bernardo e io abbiamo fondato Visual Display nel 1999 e recentemente, con l’arrivo dei due nuovi soci Rune Ricciardelli e Giulia Minozzi, abbiamo completato la compagine aziendale, unendo alle competenze manageriali, commerciali e strategiche quelle creative. Nel complesso il nostro team si compone di dodici persone con diverse professionalità che lavorano in modo integrato sui vari progetti: strategist, architetti, interior designer, grafici, illustratori, copywriter e altre figure a seconda delle esigenze (per esempio musicisti, decoratori, stylist, ecc.). Crediamo che questo approccio sia estremamente performante e i risultati ce lo confermano.

Da dove partite quando progettate uno spazio? Quali le fonti di ispirazione?

Rune Ricciardelli: I nostri spazi nascono tutti dall’osservazione degli obiettivi, del contesto e delle esigenze dei nostri clienti per individuare i gesti progettuali più coerenti ed efficaci. C’è poi una grande attenzione e curiosità per ciò che succede nel mondo, per gli stili di vita, il sistema macroeconomico e le tendenze più attuali. Facciamo costantemente ricerca e le nostre ispirazioni sono le più diverse, dai grandi architetti del passato all’arte contemporanea fino alla moda, la storia e le diverse culture vernacolari.

Come conciliate quindi la vostra creatività con le esigenze dei clienti?

Giorgio Di Bernardo: Semplicemente condividendola con loro. Ci piace creare spazi che li rispecchino, guidandoli attraverso la nostra visione nelle scelte più adatte a ottenere il risultato.

Che rapporto c’è tra il vostro design d’interni e il progetto architettonico?

Giulia Minozzi: Nella maggioranza dei casi i nostri progetti comprendono anche l’architettura degli interni, la distribuzione degli spazi, scelte in merito a finiture e rivestimenti, oltre ovviamente al progetto di arredo e decoro. Altre volte, in situazioni in cui l’architettura è già definita, il nostro intervento si adatta agli spazi cercando di farne risaltare le peculiarità. È difficile descrivere in modo assoluto quale sia il rapporto tra il design d’interni e il progetto architettonico, cambia sempre. Qualche volta è un rapporto armonioso, altre volte è dissonante, ma solo apparentemente.

Per il brand Slowear Venezia avete realizzato due concept store, il primo a Tokyo e il secondo a Milano. In cosa si differenziano i due spazi?

R. R.: Il concept store di Tokyo è un lavoro di implementazione della storia del brand a livello retail. In un paese come il Giappone la forza del brand è il suo essere riconosciuto come fortemente italiano, attento al dettaglio e alla qualità. Lo stile dello store gioca dunque con il concetto di sartorialità che si rispecchia in un ambiente raffinato, con un certo sapore rétro nel disegno degli arredi e nella scelta di colori e finiture. Il concept store di Milano rappresenta invece la volontà dell’azienda di guardare al futuro. L’obiettivo è quello di sottolineare nuovi tratti del brand, innovativi, tecnologici e rivolti a un pubblico più giovane e urban. È uno spazio ibrido, in cui convivono un piccolo bar e un’area di vendita, capace di trasformarsi nel corso della giornata, rispecchiando il dinamismo di una città in continua evoluzione.

Che tipo di messaggio avete voluto dare invece con Star Hub, il vostro ultimo progetto?

G. D. B.: Star Hub è un luogo di lavoro e condivisione. Un open space di 400 mq che si slega dai canoni del luogo fisico, delle postazioni fisse e degli orari standard per ospitare fino a 50 persone e diventare anche location per eventi, meeting, workshop e set fotografici. Un luogo di innovazione, in cui la parte cablata, interamente nascosta a pavimento o basata su tecnologia wireless, consente di accedere a dati audio e video da qualunque postazione. Abbiamo lavorato molto sullo spazio, sulla luce e sul suono con l’intento di ottenere il maggior comfort possibile.

Negli spazi da voi realizzati convivono spesso più realtà, perché questa scelta?

C. E.: È una conseguenza del periodo in cui viviamo, nel quale le persone sono abituate a fare più cose contemporaneamente e a essere sempre più stimolate. Fino a cinque o sei anni fa i clienti ci chiedevano progetti che unissero semplicemente estetica e funzionalità. Non è più così: oggi il vero tema non è esporre bene i prodotti, bensì come creare luoghi attrattivi, coinvolgenti, unici, che generino una connessione emozionale con le persone, le facciano stare bene, sentire appagate e possibilmente felici.

Quali linee guida seguite per l’illuminazione?

R. R.: Il nostro approccio è sempre molto scenografico, motivo per cui la luce occupa un ruolo fondamentale. L’illuminazione di un ambiente ne determina il carattere e ne veicola la percezione. La prima cosa che ci chiediamo quindi è cosa deve raccontare il progetto e come dovrebbe essere vissuto. Una volta condiviso il feeling generale con il cliente passiamo alla fase progettuale, lavorando su due piani distinti. Quello dell’illuminazione d’ambiente o “tecnica” sui progetti commerciali, per la quale prediligiamo oggetti minimali oppure integrati all’architettura, e quello dell’illuminazione d’accento, per cui preferiamo invece lampade che abbiano anche un valore decorativo. Una lampada a parete o una poggiata su un bancone possono davvero fare la differenza.

Qual è invece il vostro rapporto con il colore?

G. M.: Il colore ci piace molto e cerchiamo di usarlo sempre, ovviamente in maniera molto diversa a seconda dello spazio che dobbiamo progettare. Può essere un gioco di contrasti oppure una sola tonalità con tutte le sue sfumature. Non amiamo i colori sgargianti, ma a volte osiamo per dare importanza a un arredo o a un dettaglio che vogliamo mettere in evidenza.

Come definireste lo stile di Visual Display?

R. R.: Trasversale, elegante, pulito, studiato nei minimi dettagli. Destinato a durare.

Con quale progetto vi piacerebbe confrontarvi in futuro?

G. D. B.: Un progetto con il quale ci piacerebbe confrontarci è senza dubbio un hotel. Quello dell’hospitality è infatti un settore in cui c’è davvero necessità di fare innovazione, proponendo servizi ed esperienze mirate per target, per esempio servizi su misura e human touch per i clienti del segmento luxury, social experience e nuove atmosfere per i Millennial, strutture green e vacanze sostenibili per la Generazione Z, tecnologia salva tempo e privacy per il business, ecc. Crediamo che il design abbia un ruolo fortemente strategico per il successo di un’esperienza di soggiorno.

Avete qualche novità in cantiere?

G. D. B.: Milano, Galleria Vittorio Emanuele II, che a breve ospiterà il primo punto vendita di un nuovo format di ristorazione made in Italy.