Protagonisti
Sergio Mannino

La creatività italiana di Sergio Mannino conquista la “brand architecture” nella Grande Mela. Grazie a una sensibilità che si nutre di stratificazioni e memorie culturali, capace di interpretare una straordinaria varietà di concept e prodotti

Nell’epoca del design altamente instagrammabile, ci sono creativi che puntano a stupire nel giro di pochi attimi giocandosi tutto con la patina dell’immagine. E pochi altri che viaggiano oltre la percezione superficiale, per creare altre dimensioni relazionali. Sergio Mannino, fiorentino di sangue siciliano, emigrato negli States venti anni fa, appartiene a quest’ultima categoria. Nella sua visione, c’e un filo magico e sapiente che lega il passato e il presente, un senso del progetto innovativo e allo stesso tempo misteriosamente familiare. Che rimbalza da un negozio di parrucche a una farmacia, da un negozio di scarpe agli headquarter patinati della moda internazionale.

Mannino è specializzato dal 2008 in branding architecture. Arriva a New York pochi anni prima, con un bagaglio pieno di studio e passione, e un legame indissolubile con il design alchemico di Remo Buti, suo professore durante gli anni accademici. Dopo aver lavorato in diversi studi professionali, si mette in proprio e Vince Camuto, guru statunitense della calzatura chic e accessibile, è tra i primi clienti. Con lui la svolta, e un sodalizio durato oltre cento negozi. Per Mannino, le stratificazioni, le memorie culturali e l’“ascolto” del marchio si fondono in sinergia permettendo al brand di esprimersi e respirare tra le mura di un negozio. Così la relazione clientelare diventa anche culturale.

Il tuo lavoro oscilla tra riferimenti al design storico e una spinta a voler testimoniare e interpretare il presente. Come lavora tutto questo a sostegno del brand?

I riferimenti al design e all’arte ma anche alla musica di un certo periodo storico sono molti nel mio lavoro. Nel negozio di scarpe Hirshleifers di Long Island c’è un grande neon a sospensione che è ispirato al Concetto Spaziale di Lucio Fontana, i divanetti rossi prendono spunto da Giò Ponti e il mobile di legno e vetro sormontato da una tenda è un rimando a Donald Judd. Mentre in Glam Seamless, un negozio di parrucche frequentatissimo nel cuore di New York, lo specchio rende omaggio a Ultrafragola di Sottsass. Per questi oggetti non si tratta di repliche, non è un lavoro forzato ma passione naturale, frutto di un mio bagaglio personale. Nel corso del tempo abbiamo visto che un bel design perfettamente in linea con il brand aumenta il traffico all’interno dello store semplicemente perché la gente è attratta da uno spazio ben progettato. Lo dimostra Medly, una farmacia a Brooklyn realizzata nei toni del verde acqua e con un pavimento a motivi che richiamano la forma della pillola. Nel giro di un paio di mesi dall’apertura il business è raddoppiato, il cliente non si aspettava un successo così importante. Noi interpretiamo il brand e in questo caso, trattandosi di una farmacia, un design clinico e rassicurante che dà una sensazione di serietà, è sinonimo di un brand del quale puoi avere fiducia.

Uno degli ultimi lavori si trova dentro il department store di Saks 5th Avenue: il corner di Leather Spa, la catena di fascia alta per la cura della pelle. Su quali concetti hai lavorato e cosa hai aggiunto di nuovo o di personale a un brand già così codificato?

Leather SPA è la versione di lusso del famoso Sciuscià di De Sica. Il brand ha diversi negozi a New York, ma il corner di Saks si trova accanto a brand importanti come Fendi o Prada, quindi il design doveva essere allo stesso livello. Abbiamo mantenuto i colori originali – arancio e marrone cioccolato – e il legno del branding dei negozi esistenti ma abbiamo deciso di semplificare la sua estetica eliminando tutti gli elementi ridondanti o troppo letterali come il cuoio. Per le pareti abbiamo ingegnerizzato un nuovo sistema di display con una parete perforata in metallo che crea una texture in contrapposizione con quella delle ceramiche Mutina alla base. A giudicare dai commenti dei clienti, mi sembra che il restyling sia piaciuto molto, ora vedremo se il cliente lo userà per i negozi successivi.

Com’è nata la collaborazione con Camuto e cosa ti ha lasciato?

Senza dubbio le fondamenta del mio studio vengono da lui. Io iniziavo da zero, era il 2008, l’anno nero dell’economia USA e lui mi ha dato tanto lavoro e, soprattutto, carta bianca nel progetto. È stato davvero il primo cliente che mi ha permesso di fare le cose che mi piacevano. Con lui abbiamo aperto una decina di outlet, diversi negozi Jessica Simpson e Shoebox in Asia, il flagship Vince Camuto a Grand Central Terminal, un negozio a Long Island, lo showroom di Kensie Girl e tanti altri.

Il design ispirato al Gruppo Memphis ha grandissima popolarità sui social. Che ne pensi di Instagram?

Penso che Instagram stia facendo bene al design. L’immagine deve essere giudicata e deve attrarre in pochi secondi, Instagram ci ha abituati a tempi di giudizio velocissimi e questo sta spingendo gli architetti a progettare in modo diverso. Quando sei bombardato da milioni di immagini ogni giorno, non hai il tempo per giudicare nulla in modo profondo. Devi progettare per gli occhi, innanzi tutto per divertire. D’altro canto sono anche convinto che un progetto debba poi necessariamente offrire strati di lettura più profondi per chi si sofferma a osservarlo con più attenzione.

Ti sei ritagliato un settore che è quello della “branding architecture”. Cosa rappresenta esattamente?

Siamo specializzati in una piccola nicchia dell’architettura che è più vicina al branding che all’architettura stessa. Il nostro ruolo è creare un brand insieme al cliente o, nel caso questo sia stato già sviluppato, progettare uno spazio che ne sia l’espressione. Non parlo solo di colori o forme, un progetto può essere anche l’espressione di determinati valori che ogni marchio ha, anche di come si pone nel mondo relativamente a questioni socio culturali importanti. Noi siamo gli interpreti di questi valori all’interno di uno spazio. Io faccio sempre l’esempio della poltrona Sacco, perché è l’oggetto che meglio esprime questo concetto. Il design di questa seduta non è il design di una forma ma l’idea di un nuovo modo di sedersi, in contrapposizione con un passato di sedute molto più formali. Un nuovo modo di sedersi perché la società e i suoi valori sono cambiati. Quello che cerchiamo di fare noi è molto simile, cercare di interpretare il valore di un brand e insieme a questo la società contemporanea, trasformando tutto ciò in uno spazio.