Il lavoro tende sempre più a svincolarsi dallo spazio fisico in cui si svolge. Con esiti ancora imprevedibili ma destinati a rivoluzionare stili di vita, modelli organizzativi, la stessa relazione tra ufficio e spazio urbano. Ne parliamo con Massimo Roj, socio fondatore di Studio CMR
“L’evoluzione delle forme del lavoro contemporaneo ha innescato una ridefinizione dell’identità degli ambienti office, che oggi diventano sempre più contenitori di relazioni e acceleratori di idee supportati da servizi e facility. Ambienti concepiti all’insegna della trasversalità e dell’ibridazione, e perciò sempre più lontani dalla rigidità distributiva e funzionale dell’ufficio tradizionale. E, a una scala superiore, inseriti in un ambito urbano non più concettualmente e fisicamente separato, ma al contrario affluente di una fitta rete di relazioni”.

Comincia così la nostra conversazione con Massimo Roj, socio fondatore di Progetto CMR, uno fra i più importanti studi di progettazione integrata a livello internazionale. E con una vasta esperienza nell’ambito della progettazione office, che oggi gestisce con una branch dedicata. Con lui abbiamo parlato del “new normal” che si sta delineando e di come la progettazione può diventare non solo interprete ma anche artefice del cambiamento.
Veniamo da un anno che ha rivoluzionato tutti i paradigmi, come lo avete vissuto?
Già da tempo la progettazione degli spazi ufficio è oggetto di una serie di dinamiche trasformative, che la crisi pandemica ha accelerato proponendone allo stesso tempo di nuove. Oggi, usciti almeno in parte dall’ottica emergenziale che ne ha connotato la prima fase, possiamo dire che alcuni orientamenti, primo fra tutti il rientro solo parziale del personale in ufficio, sono destinati a consolidarsi ma in forma probabilmente più attenuata di quanto pensassimo. Il ritorno al lavoro in presenza è anzi una delle esigenze che emergono più chiaramente dopo questo lungo periodo di distanziamento sociale. Allo stesso tempo abbiamo però imparato che smart working e home working sperimentati durante la pandemia hanno una loro efficacia, che può essere messa a frutto. Ma questo implica un ripensamento degli spazi di lavoro, non solo a una scala diversa ma anche in una differente relazione con il tessuto urbano in cui si inseriscono.

Ad esempio?
Pensiamo al concetto di 15-minute city, divenuto di forte attualità in questi ultimi mesi, che è in qualche misura un ritorno al concetto di città policentrica, in cui lo spazio di lavoro si svincola dal tradizionale modello centralizzato in grandi strutture per distribuirsi alla scala di quartiere come tutte le altre funzioni urbane, da quelle residenziali a quelle produttive e di servizio. Una dinamica che peraltro ha un forte impatto anche su temi oggi di grande attualità come la mobilità, la riduzione dell’impatto ambientale e del consumo di suolo. La scomposizione degli ambienti office in working hub di minori dimensioni non significa rinunciare ai tradizionali headquarter, che sono senz’altro destinati a rimanere non solo come spazio funzionale ma anche di relazione e confronto, di condivisione dell’identità aziendale, di socializzazione. Recuperare questa dimensione comunitaria è assolutamente indispensabile, a cambiare saranno i contenitori che la ospitano.

Quale modello di “new normal” sta emergendo da queste dinamiche?
L’essere umano è estremamente adattabile ai cambiamenti, e ciò che oggi percepiamo come anomalo è destinato a diventare fisiologico molto rapidamente. In questo processo le opportunità che il digitale offre i termini di connessione, condivisione e scambio delle informazioni hanno un ruolo decisivo e ricadute importanti sull’organizzazione del tempo e del lavoro, che tende a svincolarsi dallo spazio fisico in cui si svolge. Il panorama che abbiamo di fronte è ancora fluido, ma da un lato è realistico immaginare che anche dopo l’emergenza sanitaria almeno un terzo della forza lavoro continuerà a essere interessata da forme evolute di smart working. Dall’altro, lo spazio fisico dell’ufficio tenderà a essere più fluido e riconfigurabile per modellarsi intorno alle nuove forme di organizzazione del lavoro, con esiti molto diversificati e ancora imprevedibili. Già oggi vediamo emergere richieste che spaziano dal ritorno agli uffici individuali alla completa eliminazione delle postazioni di lavoro fisse. Il filo conduttore è la dissoluzione del legame tra la funzione lavoro e il luogo che la ospita, che tende piuttosto a diventare spazio di relazione e infrastruttura di supporto.

Come stanno reagendo i committenti a queste trasformazioni?
La situazione è in divenire, e questo ci ha spinto ad analizzare le richieste che stanno emergendo e il profilo delle aziende che le esprimono. Le abbiamo quindi raggruppate in quattro cluster omogenei – realtà leader del cambiamento, realtà follower, realtà legate alla loro posizione di leadership locale, realtà in cui il motore dell’innovazione è il fondatore – che poi abbiamo calato in una matrice a due assi: propensione al cambiamento e coraggio nell’innovazione. Gli esiti sono eterogenei, dalla completa smaterializzazione di alcuni punti cardine dell’ufficio tradizionale come la scrivania a un ritorno quasi integrale a modelli office tradizionali. In questa fase di grande fluidità ogni realtà cerca di definire il modello più funzionale alla propria organizzazione del lavoro, che spesso sta cambiando in misura importante, e in cui le varie forme di smart working sono comunque destinate ad avere un ruolo sempre più rilevante.
La contrazione del lavoro in presenza pone anche il tema del riutilizzo degli spazi ufficio esistenti, in quale direzione ci si sta muovendo?
Una delle possibili soluzioni è la ridestinazione a funzioni dedicate non solo al personale ma anche a fruitori esterni, ad esempio servizi pubblici, spazi di coworking e dedicati alla socialità, un fronte su cui stiamo sviluppando alcuni progetti sperimentali secondo noi dal grande potenziale. Il tema senza dubbio esiste e la sua portata è rilevante, basti pensare che nella sola Milano gli spazi ufficio liberi riconvertibili ad altre funzioni potrebbero in futuro toccare i due milioni di metri quadrati. Da questo emerge la necessità di individuare nuovi utilizzi, ma anche quella di rendere lo spazio ufficio più appetibile per stimolare il ritorno al lavoro in presenza.

La progettazione degli spazi ufficio si sta aprendo a discipline evolute come le neuroscienze, ma anche a una trasformazione della figura ell’architetto…
Senza dubbio. In un mondo complesso come quello attuale l’architetto non può più essere come in passato il depositario di tutti i saperi legati alla progettazione, ma piuttosto una figura in grado di coordinare, integrare e sintetizzare le expertise di uno staff con competenze disciplinari specifiche. Un approccio che peraltro è alla base di Progetto CMR, e il motivo per cui amiamo definirci non studio di architettura ma società di progettazione integrata, proprio in riferimento alla competenze multidisciplinari del nostro team.

Avete creato Progetto Design&Build, un branch dedicato allo sviluppo di spazi ufficio: perché questa scelta?
Essenzialmente per completare tutti gli step del processo che va dal concept alla realizzazione, affiancando all’attività progettuale pura anche la gestione della fase esecutiva. Il mercato della progettazione è molto cambiato negli ultimi anni, e i committenti sono sempre più attenti al controllo e all’ottimizzazione dei costi. Creare una struttura in grado di proporsi come interlocutore unico e offrire una progettazione e realizzazione chiavi in mano ci ha consentito di intercettare queste esigenze, creare un ventaglio di servizi diverso e più completo e rispondere in maniera più reattiva a una domanda in forte cambiamento. Con tempi e costi certi.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro, come sarà l’ufficio di domani?
Sempre più flessibile e reattivo ai cambiamenti, ma anche in grado di stimolarli. Stiamo vivendo una serie di cambi di paradigma tecnologici, organizzativi, sociali, e anche lo spazio ufficio può diventare protagonista attivo di queste dinamiche trasformative tramite un approccio propositivo, fluido, in sintonia con il mondo contemporaneo. Ci troviamo ad affrontare il più grande office stress test che potessimo immaginare, e da questo grande laboratorio aperto scaturiranno nuovi spazi, altamente digitalizzati, in grado di mutare forma e funzioni al passo con le trasformazioni nell’organizzazione del lavoro.

