Protagonisti
Daaa Haus

Intervista allo studio Daaa Haus, multidisciplinare studio maltese-siciliano-milanese con un approccio molto particolare al progetto

La vostra multidisciplinarietà e l’originale geolocalizzazione – a Malta, Ragusa e Milano – mi incuriosiscono molto. Come nascete professionalmente?

Nasciamo dieci anni fa con l’idea di fare architettura con un approccio diverso. Noi non partiamo mai dal progetto. Siamo come il sarto che prima prende le misure e poi realizza il vestito. Per noi le misure sono capire l’identità del cliente e del contesto. Il nostro format progettuale è mettere in evidenza una storia, se c’è o, se non c’è, crearne una che diventa il filo conduttore del nostro progetto. Progettiamo concetti. A Malta siamo in trenta, a Ragusa in dieci, mentre lo studio di Milano al momento è gestito da due persone: è necessario che ognuno di noi segua linee guida comuni.

Ci chiediamo sempre a chi è rivolto il progetto architettonico, sia che si tratti di un hotel, di un progetto retail o di uno spazio residenziale. Solo dopo aver capito chi è il cliente, quali sono i suoi gusti, ma non solo riferiti allo stile architettonico, allora incominciamo a fare i primi schizzi di progetto. Facciamo domande – abbiamo un questionario apposito – indaghiamo sul genere di musica che si ascolta, che macchina si guida, quali letture. Perché l’architettura deve esprimere uno stile di vita. E spesso neanche il cliente sa qual è il suo. L’errore più frequente che fa il committente è indicarci quello che gli piace, magari visto su Instagram o negli showroom: un’accozzaglia di immagini senza un filo conduttore, che non lo rispecchia.

Molti vostri interventi nel settore hospitality sono legati a contesti storici: restauri importanti di palazzi antichi. Qual è il vostro approccio con la storia?

Prima di tutto bisogna capire il luogo e valorizzarlo. Questo è avvenuto in progetti importanti come il Cugó Gran Macina Grand Harbour a Malta o il San Giorgio Palace a Ragusa Ibla. Due contesti molto differenti, il primo inserito all’interno delle fortificazioni che circondano la città, il secondo, integrato nel costone roccioso, risente moltissimo dell’importante influenza del barocco della valle di Noto. Due situazioni nelle quali abbiamo utilizzato linguaggi differenti, in entrambi i casi senza ricorrere a falsi storici. Il nostro approccio nei confronti della storia è senza inganno, interveniamo in modo contemporaneo, sia dal punto di vista ideologico che nell’utilizzo dei materiali, ma con rispetto. Anche di chi poi gestirà l’attività commerciale.

Al momento abbiamo molti progetti in corso in contesti storici risalenti allo stesso periodo a La Valletta, ma i progetti raccontano storie diverse grazie all’uso di colori, materiali e accessori.

Nei vostri progetti mi sembra che prediligiate maggiormente l’architettura dello spazio rispetto al singolo oggetto. È corretta questa lettura?

I progetti che abbiamo sviluppato ci hanno portato in questa direzione. Non è che non diamo importanza al singolo elemento, molto spesso customizzato, ma non prevale sul contesto: disegniamo ogni più piccolo particolare in modo che risponda a un linguaggio armonico di fondo. Inoltre, in questo modo solleviamo anche il cliente dal dover scegliere l’accessorio finale, spesso con il rischio di sbagliare. Per esempio nella Club House vicino ad Agrigento, in cui la storia da raccontare era incentrata sui cavalli e sull’attività di maneggio, abbiamo progettato lampade a sospensione con caschi da equitazione. Noi disegniamo un’esperienza completa che avvolge l’ospite dal momento in cui entra in hotel fino al momento in cui ne esce.

Qual è il vantaggio della vostra multidisciplinarità?

Noi siamo architetti, designer, grafici, esperti di comunicazione. Questo ci permette di spingerci oltre il progetto architettonico e arrivare alla progettazione della corporate di un hotel declinata a tutta l’immagine, dal logo alla brochure, dal menu al sito web. Noi studiamo e creiamo l’identità completa di un’esperienza di ospitalità. Facciamo progetti estremamente dettagliati, partendo dal mood board fino ai render fotorealistici per aiutare il cliente a scegliere anche il più piccolo particolare.

Progettate boutique hotel ma anche ostelli. Cosa cambia nella modalità di progettazione?

La modalità progettuale rimane la stessa, quello che cambia è il budget che ci dà il cliente e il target di riferimento. Per noi ogni progetto ha uguale dignità. Non esiste il progetto di serie A e quello di serie B. Progettando ostelli, con budget ridotti, scegliamo materiali più poveri e meno costosi, ma questo non a scapito della qualità del prodotto finale. Un materiale povero, se usato nel giusto modo, può risultare più pregiato di un materiale costoso e la preziosità di un materiale non è sinonimo di design. Ci è capitato che un cliente si stupisse del costo molto basso di una piastrella utilizzata per i bagni dell’hotel che gli stavamo progettando. Fortunatamente per lui, il concetto che volevamo esprimere era felicemente riassunto da un rivestimento ceramico che costava dieci euro al metro quadro ma perfetto per quel determinato contesto.

Quanto contano la luce e i materiali nella vostra progettazione?

Una luce sbagliata può rovinare un progetto architettonico. Quindi per noi sono molto importanti sia la luce naturale che quella artificiale, quella architettonica e quella decorativa. È un elemento che completa lo spazio, per questo motivo ci affidiamo a light designer che, su nostra indicazione, creano lo scenario desiderato. I materiali, poi, sono alla base di tutto. È molto importante fare ricerca in questa direzione, una ricerca continua, dalla produzione del materiale alla sua applicazione. Un altro settore importantissimo è quello dei tessuti, ai quali dedichiamo tempo di ricerca e risorse: i tessuti sono fondamentali nel cambio di scena, così come avviene nel mondo del teatro.

Come è il rapporto con il committente? Avete carta bianca o spesso è un gioco di relazione?

Grazie al nostro modus operandi, il committente, in particolare nel commerciale, ci dà carta bianca, Secondo noi, un errore che molto spesso fa l’architetto, soprattutto nel settore hotellerie, è quello di dare troppo spazio al cliente. È facile realizzare quello che piace al committente, più difficile, ma anche più professionale, è realizzare quello che piacerà all’ospite. E questo diventa anche una garanzia di business per chi poi dovrà gestire l’albergo. Per fare un esempio, in un lounge bistrot a Malta, in una zona waterfront piena di locali e ristoranti, abbiamo completamente sovvertito l’idea del nostro committente che avrebbe voluto un classico locale con cucina in linea con quelli già presenti in zona. Ci siamo opposti alla sua richiesta iniziale, eliminando la cucina e puntando su una ristorazione basata su prodotti di qualità ma freddi. Un approccio vincente basato sulla differenziazione che gli ha permesso di aumentare prezzi e utili. Lo stesso è avvenuto anche per la Club House in provincia di Agrigento. I proprietari avrebbero voluto fare un agriturismo, la nostra strategia di marketing, invece, li ha indirizzati verso un concept che li differenziasse a partire anche dalla definizione: cucina rurale, valorizzando il territorio e le eccellenze dei prodotti locali.

C’è un filo conduttore che lega i vostri progetti di hospitality?

Il filo conduttore è il modo di progettare. Poi ogni progetto è diverso dall’altro e ha vita propria. Alcuni clienti vedono un po’di DaaaHaus in quello che facciamo ma non perché abbiamo uno stile riconoscibile. Quando i nostri progetti diventeranno identificabili vuol dire che avremo perso qualcosa.

Qual è il vostro concetto di albergo ideale?

L’albergo ideale non esiste. Se esistesse avremmo già smesso di progettare, di crescere e anche di divertirci.