Protagonisti
Caberlon Caroppi

Eclettici, versatili e sartoriali, sempre pronti a cambiare per rispondere alle differenti sfide di ogni progetto. E’ questa l’arma vincente di Chiara Caberlon ed Ermanno Caroppi, uno studio che porta l’eccellenza italiana nel mondo, raccontandola sempre da punti di vista diversi e attraverso inedite vie di espressione

Un comune passato universitario al Politecnico di Milano, insieme professionalmente dal 2004 con 140 progetti di hotel realizzati, in Italia e all’estero, e ancora tanta voglia di sperimentare. Perché per lo studio CaberlonCaroppi dalla progettazione architettonica e grafica fino ai materiali e ai tessuti, tutto deve sempre essere in linea con l’identità del luogo, partendo dalla storia. Gli ex “enfant prodige” della progettazione alberghiera si raccontano a Guest.

Ciò che colpisce delle vostre realizzazioni è la diversità tra l’una e l’altra, quasi non ci fosse una vostra cifra stilistica. Vi divertite molto quando progettate, cambiando ogni volta impostazione, o siete particolarmente legati ai brief dei vostri clienti?

Caberlon – L’una e l’altra cosa. Il bello del nostro lavoro è che ogni volta è un’avventura differente, e a noi piace cimentarci con nuovi progetti e confrontarci con nuovi obiettivi, sarebbe noioso il contrario. D’altra parte ascoltiamo molto anche i nostri clienti e partiamo sempre dalle loro esigenze.

Caroppi – Oggi, inoltre, progettare il nuovo è molto difficile e gli interventi sono per lo più ristrutturazioni o restauri, quindi sarebbe improponibile fare progetti fotocopia e adattarli a contesti diversi. Ogni progetto è nasce da un brief ben preciso e dalla sua destinazione.

Quindi qualsiasi standard è abolito…

Caroppi – L’hotellerie punta sempre più alla massima personalizzazione, e anche le grandi catene creano specifici brand che sono “cuciti” addosso al cliente al quale si rivolgono e al suo lifestyle. Pensiamo, ad esempio, al brand Moxy della catena Marriott, nato per soddisfare un target giovane e social, studiato nel dettaglio per rispondere a questo specifico segmento di clientela.Quattordici anni fa, quando abbiamo deciso di specializzarci in questo settore, abbiamo avuto la stessa visione. Dopo aver progettato il nostro decimo hotel, abbiamo deciso di cambiare approccio, e anche la mano. Partiamo sempre dal genius loci di ogni struttura, per coglierne l’anima e trasferirla al progetto, raccontando una storia e suscitando emozioni sempre diverse.

Quanto di CaberlonCaroppi c’è nei vostri progetti e quanto del committente?

Caberlon – Un progetto vincente nasce dalla perfetta sintonia tra progettista e committente. Non imponiamo mai una nostra idea e ascoltiamo sempre il cliente. Lavoriamo molto con le catene alberghiere, dalle quali c’è molto da imparare, ma anche per proprietari di singoli hotel, e anche loro insegnano sempre qualcosa. Una pluralità di committenti che ci permette di trasferire l’esperienza acquisita con i multi brand al servizio dell’albergo no brand, ma anche viceversa, portando la progettazione più intima del piccolo hotel nel progetto di cento camere.

Uno studio associato con due sedi operative, una a Fermo e l’altra a Milano. Chi fa cosa?

Caberlon – Abbiamo studiato entrambi al Politecnico di Milano e, dopo tanti esami insieme, abbiamo una formazione e un modo di progettare comune. Lavoriamo su un’idea, la sviluppiamo e poi la facciamo realizzare dal nostro team. Spesso ognuno di noi segue un progetto specifico, anche perché sarebbe poco produttivo dedicarci entrambi a un solo cliente. Rimaniamo però interscambiabili e questo è possibile proprio grazie al nostro background universitario.

Caroppi – A proposito di interscambiabilità, proprio recentemente, abbiamo avuto un caso emblematico.A Roma stiamo progettando un hotel per un cliente che sto seguendo io: 50 camere categoria cinque stelle extralusso, con ristorazione. Il cliente ha avuto un’intuizione geniale e voleva differenziare la ristorazione creando due unità separate: una riservata esclusivamente all’hotel e ai suoi ospiti e una aperta alla città, con la richiesta precisa di realizzare due spazi con stili diversi e non riconducibili a un unico progettista. A questo punto è intervenuta Chiara che ha interpretato il nuovo brief della committenza. Perché siamo innanzitutto interpreti delle esigenze del nostro cliente, e rispondiamo con lo stile che meglio si adatta alle sue esigenze e ai suoi obiettivi.

Vi sentite più designer o architetti?

Caroppi – Sicuramente architetti. Per progettare un albergo bisogna avere una visione globale dell’insieme. Perché anche per il semplice posizionamento di un letto o di un comodino bisogna studiare i flussi, per non parlare poi delle aree comuni, delle aree breakfast e del ristorante: flussi verticali, flussi orizzontali, organizzazione degli spazi. E questa è architettura. Noi lavoriamo sempre su un layout architettonico e sull’immagine generale per poi progettare gli interni e i singoli dettagli.

Quale parte dell’hotel rispecchia di più e meglio il concetto di ospitalità? E quindi da cosa partite nella progettazione?

Caberlon – Secondo noi la camera è l’ambiente che meglio definisce il mood dell’hotel: è da lì che parte il fil rouge del progetto. Non a caso quando progettiamo, in particolare per le grandi catene, quello che ci chiedono è di realizzare la camera campione: è da lì che parte il confronto con la committenza. Anche se, come dicevamo, la progettazione di un hotel non può prescindere da una visione d’insieme.

Quanto è importante la luce nei vostri progetti?

Caberlon – La luce esalta ogni aspetto dell’architettura e il light design è un aspetto fondamentale della progettazione. Noi siamo gli scenografi della camera e quando progettiamo vogliamo sempre verificare come il prodotto risponde alla luce. A volte, stranamente, ci chiedono se facciamo light design. Certo, per noi non si può progettare senza il contributo della luce.

Caroppi – Senza poi dimenticare che la luce interagisce con la materia e con i colori. Ad esempio, nel progetto di restyling di Molino Stucky a Venezia avevamo bisogno di rendere più luminosi gli interni – le finestre sono piccole – e abbiamo giocato con la materia, lo stucco e il colore bianco per dare luce gli ambienti.

State parlando del celebre Molino Stucky alla Giudecca, una struttura della catena Hilton. Raccontateci il progetto.

Caroppi – Abbiamo vinto la gara, in concorso con altri studi di architettura, per un progetto di relooking delle camere, più di 300, e dei corridoi. Abbiamo appena terminato il primo pacchetto di 90 camere e stiamo iniziando il secondo. L’hotel, il più grande di Venezia, era stato ristrutturato 12 anni fa con uno stile internazionale e senza nessun legame con il territorio e il gusto locale. Quindi, abbiamo voluto contestualizzare l’intervento partendo innanzitutto dalla storia dell’edificio, un mulino fondato da Giovanni Stucky alla fine dell’Ottocento dove si produceva farina e la famosa pasta Super Stucky. Sarebbe stato facile – e per certi versi banale – inserire nel progetto lampadari in vetro e tessuti veneziani, noi abbiamo voluto fare qualcosa in più e ci siamo fatti guidare dal genius loci. Abbiamo inserito pavimenti in doghe di legno, da “vecchia fabbrica”, e ci siamo ispirati alla spiga di grano e a i suoi colori, riproponendola stilizzata sulla testiera dei letti e sui tappeti e anche nei bagni. Ma l’effetto wow l’abbiamo raggiunto con il restauro degli armadi a incasso in  legno scuro, molto classico. Li abbiamo recuperati e riverniciati in chiaro, abbiamo disegnato nuove maniglie e appenderie e applicato un nuovo rivestimento interno in pellicola stampata che riproduce i prospetti dell’hotel. Un dettaglio sorprendente e di grande effetto, del quale siamo molto orgogliosi.

Lavorate molto anche all’estero. Quali sono le qualità che un investitore estero trova in un progettista italiano?

Caberlon – Il brand Italia è molto apprezzato e l’architetto italiano è preceduto da un’ottima fama. Anche per questo il committente internazionale, si affida molto di più all’architetto, che diventa un consulente a tutto tondo. Godiamo all’estero di una fiducia che in Italia spesso non abbiamo. Per assurdo, in cantiere a Buccinasco è richiesta 30 volte la nostra presenza, in Kazakistan sono sufficienti cinque sopralluoghi.

Caroppi – Inoltre, è molto importante la rete di aziende che l’architetto italiano porta con sé, quelle eccellenze del made in Italy che tutto il mondo ammira. Per ogni cantiere si crea così una straordinaria sinergia tra progettista, committente e il meglio del contract italiano. Uno straordinario mix di competenze e di stile, sempre efficace e vincente.