Le sue forme sono moderne e scultoree e il suo stile lussuoso, ma al tempo stesso discreto e informale. ANDRE FU nasce a Hong Kong e studia a Cambridge, e proprio dall’incontro tra Occidente e Oriente nasce il suo stile unico e inconfondibile, in grado di abbracciare la sensibilità di culture diverse e di unire ai canoni estetici europei la qualità dei manufatti orientali
“Desidero provocare nuove riflessioni su ciò che significa lusso. Ciò che inseguo è il concetto di un lusso discreto e non formale, che sia, in un certo senso, onesto e autentico”. È con queste parole che André Fu si presenta e parla della filosofia alla base del suo stile, un sofisticato incontro di linee semplici, texture tattili e materiali naturali forieri di un’eleganza mai strillata, basata su suggestioni “rubate” durante una vita di viaggi ed esperienze ai quattro angoli del mondo. Nato a Hong Kong, a soli 14 anni Fu si trasferisce a Cambridge, dove si laurea in architettura.

“Ho vissuto, ho studiato e ho lavorato tra l’Inghilterra e il mio paese natale per gli ultimi trent’anni: questo è il motivo per cui attraverso la mia sensibilità e il mio gusto reinterpreto la tradizionale nozione di identità nazionale, unendo ai canoni estetici europei la qualità dei manufatti orientali. Un mix di moderno e antico alla ricerca di un nuovo ibrido”. Le sue creazioni spaziano dall’interior di grandi hotel a collaborazioni di alto livello per la realizzazione di oggetti a cavallo tra l’arte e il design, come quella con Louis Vuitton che ha dato vita all’Objets Nomade Collection. Un’incursione nel design, che prosegue nel 2019, anno in cui ha presentato al Salone del Mobile Milano la sua prima linea di arredi André Fu Living.

L’hotellerie di alta gamma è certamente l’ambito in cui Fu si esprime al meglio. Con uno stile riconoscibile, ma discreto, che ogni volta interpreta il progetto come un unicum, profondamente radicato nella cultura e nello spirito del luogo: “Mi piace lavorare contemporaneamente a diversi progetti sparsi per il globo, ma voglio sottolineare che nessuno di questi parla precisamente di me. Ogni nuova commessa inizia con la comprensione del cliente e del brand, parte con un brief specifico in cui mi viene spiegato cosa deve provare un cliente che attraversa lo spazio e cosa deve vedere. La mia firma si nota nei dettagli, ma è fondamentale per me raccontare la visione del brand”.

È incredibile anche solo immaginare che i grandi hotel firmati Fu nascano da una riunione e da uno schizzo tracciato a mano, un appunto visivo in cui forme e materiali si fondono e che viene trasformato in esecutivo dai collaboratori di studio. Le richieste per Fu arrivano da Londra, dalla Francia, dal Giappone, dalla Cina. E chi lo contatta sa di poter contare su un professionista “con i piedi per terra”, che ha molto chiaro che cosa significhi fare hotellerie di qualità.

“Mi concentro sull’essenza dell’esperienza e sul comfort, non amo creare spazi spettacolari adatti solo a essere fotografati e pubblicati sui social media. La qualità deve essere al primo posto, soprattutto in un periodo come quello attuale dove ai lunghi viaggi le persone preferiscono – o quanto meno affiancano – una staycation, ovvero un soggiorno vicino a casa. Spesso, quando un investitore decide di aprire in una città desidera raccontare il luogo, ma bisogna tenere conto anche di chi è in gita a pochi chilometri da casa, alla ricerca di evasione e suggestioni differenti”.

Il progetto più celebrato e premiato di André Fu, quello che lo ha lanciato come archistar internazionale, è l’Upper House di Hong Kong. Nata con l’intento di creare un hotel intimo che potesse essere per i clienti una casa lontano da casa, la struttura trasmette un senso di tranquillità e pace nonostante si trovi in uno dei grattacieli più alti dell’isola.

Dall’ingresso, completamente vetrato e con un monumentale portale in pietra, si accede alla lobby e alla “lanterna” in bambù con scala di collegamento al centro. Il punto di forza dell’Upper House sono senza dubbio le viste panoramiche sulla città e sul porto Victoria, su cui si affacciano il bar, il ristorante e uno sky bridge da vertigini.

Le camere, 117 in totale, scommettono su due schemi-colore: uno definito “bamboo” con toni garbati del legno e del grigio, l’altro chiamato “celadon” più acceso, con imbottiti nella delicata nuance del tè verde abbinata a una palette crema.

Racconta il passato del luogo il St. Regis Hotel, sempre a Hong Kong, all’interno di un grande edificio che ingloba l’ex mercato in stile Bauhaus.

Antiche lanterne a gas e colonne in stile coloniale provenienti dalla vecchia stazione di polizia sono magistralmente inseriti in monumentali spazi a doppia altezza con marmi e decori in gesso, memori di quelli del primo albergo St. Regis aperto a New York nel 1904. Nel bar, dietro al bancone, attrae gli sguardi il murale dell’artista cinese Zhang Gong in cui paesaggio naturale e antropico si compenetrano.

E di nuovo la natura – questa volta rappresentata da carte da parati e moquette con foliage tropicale, stoffe fiorite e grandi palme strategicamente posizionate nella sala da pranzo – è la protagonista del ristorante Louise, un angolo di Francia a Hong Kong. Come ha dichiarato Fu, la giungla selvaggia contrapposta alla capacità dei paesaggisti di disciplinare diverse essenze all’interno di aiuole e giardini lo hanno sempre affascinato. E forse è proprio pensando a ordinati filari di siepi che, da bambino, tracciava su fogli di carta complicati labirinti che i compagni di scuola dovevano risolvere…

Interpreta l’anima locale anche il Mitsui Hotel di Kyoto, che prende il posto di una signorile residenza di famiglia a pochi passi dal castello Nijō-jo. L’aspetto più interessante del lavoro è la scelta di incorporare nella struttura l’antica porta monumentale del complesso, che oggi accoglie gli ospiti all’arrivo e cela parzialmente alla vista il cortile interno con ciliegi e una foresta di bambù in miniatura. “Autentico. Mistico. Artigianale” sono i tre aggettivi che a detta di Fu definiscono il Mitsui e le sue camere, tutte arredate con tatami tradizionale. Il fiore all’occhiello? Le due onsen suite, con vasca di acqua calda termale all’aperto, per un’esperienza di benessere in totale privacy.

Tra le ultime fatiche di Fu anche l’hotel K11 Artus, di nuovo nella “sua” Hong Kong, nell’area del Victoria Dockside. Luci d’atmosfera e ambiente chic sono, anche in questo caso, il tratto caratteristico di Fu e servono da base per ambienti che ricordano la casa di un collezionista, con oggetti artigianali, opere d’arte e una grande biblioteca. “Non è solo una questione di lifestyle, l’idea è di vivere immersi nella cultura”.

E se la globale emergenza legata alla pandemia ha rallentato spostamenti e viaggi, lo studio non ha mai smesso di creare e portare avanti le proprie creazioni, provando a concentrarsi su ambienti adatti a long e short stay, con soluzioni touch free, molto igieniche, che offrono subito una sensazione di esclusività a lusso. L’anno più strano di sempre si è concluso con una vera e propria consacrazione per André Fu: a lui nel 2020 è stata dedicata un’ampia monografia dal titolo “Crossing Cultures with Design” edita da Thames and Hudson, una pubblicazione che sottolinea la sua grande influenza nell’interior design.