Protagonisti
Tom Kundig

Un nuovo libro celebra i progetti dello studio Olson Kundig di Seattle. Dagli spazi produttivi alle residenze, dall’office al landscape design, un percorso che racconta la genesi delle idee e la dialettica tra desideri dei clienti e sensibilità del progettista

Dove inizia la poesia e dove la funzionalità? È la danza misteriosa che anima i progetti firmati Olson Kundig, lo studio di architettura di Seattle che ha rivoluzionato il rapporto tra natura, design e lusso.

Partner co-fondatore del brand, Kundig ha appena pubblicato il suo quarto libro, “Tom Kundig: Working Title”, una collezione di ventinove progetti che raccontano la genesi delle idee e la dialettica tra desideri dei clienti e sensibilità del progettista.

Ci sono lavori molteplici, di differente natura: spazi produttivi, come la cantina vinicola di Martin’s Lane Winery in Canada, audacemente divisa in due volumi adiacenti, uno inclinato secondo la linea del paesaggio e l’altro secondo la pendenza collinare; ci sono gli spazi culturali, come il Wagner Education Center di Seattle, un centro per lo studio e la ricostruzione di barche di legno della tradizione locale, concepito come una sorta di armatura. Ma soprattutto ci sono le residenze. Dimore di disorientante bellezza. Case alleate con la natura, che vivono in simbiosi con essa. Case ingegnerizzate come mini-cantieri, dove porte, lucernari e vetrate maxi sono attivati dall’uomo tramite leve, pulegge, carrucole, ruote dentate e altri marchingegni scultorei progettati e disegnati ad hoc.

Il libro trae spunto da un’attraversata notturna in motocicletta di Tom Kundig insieme al giornalista di Vanity Fair Mark Rozzo, nell’America rurale, con uno sguardo senza confini e senza gerarchie sul costruito, sulla natura e sugli spazi marginali.

Una corsa lungo l’Interstate 80, nel tratto che attraversa gli spazi vasti dell’Idaho. Cosa significa quell’ambiente per te e che cosa per i tuoi progetti?

Quell’esperienza, che torna sempre nella mia filosofia, è legata alla comprensione di un contesto e la risposta a esso. Penso che sia importante non competere con il paesaggio – costruito o naturale – e riconoscere il posto dell’architettura in un contesto più ampio. Sono cresciuto nel Montana, una terra vasta e rarefatta, simile al paesaggio descritto nell’introduzione del libro. Crescendo in quell’ambiente, riconosci di essere una piccola parte del mondo. Quindi la mia pratica architettonica inizia da quel luogo di umiltà. Essere architetto per me significa creare qualcosa di piccolo in un contesto molto più ampio che rimarrà sempre più bello di qualsiasi cosa saremo in grado di progettare.

Ci sono dei progetti che hai rivalutato, riscoperto, mentre scrivevi il libro?

No, non è successo mentre scrivevo il libro. Per me, il processo di rivalutazione e riscoperta ha invece luogo quando sono, effettivamente, all’interno dell’edificio. A volte ho il privilegio di dedicare del tempo ai miei progetti già realizzati, ed è quell’esperienza che mi permette di rivedere e imparare cose nuove sulla progettazione.

Quale fase della tua carriera e della tua vita personale, ripercorre questo libro?

Questo è il mio quarto libro e talvolta dico di essere nel mio quarto quadrimestre! Questo è probabilmente uno dei periodi più emozionanti della mia vita, perché sento di aver riunito tanta esperienza, pensieri e saggezza. Non sto parlando solo di maturità personale ma anche architettonica. Vedo l’invecchiamento in maniera positiva perché, invecchiando, hai un’altra prospettiva sulle cose e allo stesso tempo le tue basi diventano più solide. Ora sono in grado di intrecciare e utilizzare questa consapevolezza in tutto ciò che progetto.

Nel libro emergono alcune fonti d’ispirazione come Corbusier, Richard Serra… Cosa hai imparato da questi maestri?

L’idea di Le Corbusier, di una casa come una “macchina per vivere”, è un mantra che risuona spesso in me. Nel mio lavoro cerco sempre di evocare cosa significhi essere ‘un essere umano’, muoversi da uno a un altro luogo, e muoversi attraverso il paesaggio. Il mio largo uso di aggeggi e dispositivi cinetici è una manifestazione di questa idea. Quando l’abitante di una casa, girando una ruota apre o muove una parte di un edificio, la sensazione non è solo fisica, tattile, ma anche emotiva. Sia che si tratti di piccole aperture come la botola del tetto nel progetto di Rio House o grandi come la porta del Museo Burke la cinetica ci ricorda il nostro umanesimo. Di Serra apprezzo invece l’arte della materialità. Lui vuole che i materiali esistano nel loro stato naturale. E infatti i materiali lasciati invecchiare naturalmente sono lo specchio del tempo: mostrano un autentico senso della storia e del luogo. Mi piace rivisitare gli edifici per vedere come sono cambiati nel corso degli anni e vedere la patina dei materiali. Quando lavori con le proprietà dei materiali, piuttosto che contro di loro, arrivi naturalmente a una soluzione che migliorerà nel tempo.

“Sono cresciuto nel Montana, una terra vasta e rarefatta dove riconosci di essere una piccola parte del mondo, e la mia pratica architettonica inizia da quel luogo di umiltà. Essere architetto per me significa creare qualcosa di piccolo in un contesto molto più ampio, che rimarrà sempre più bello di qualsiasi cosa saremo in grado di progettare” Tom Kundig