Quattro forti personalità si incontrano durante gli studi e, tra un esame e l’altro, imparano a conoscersi e collaborare. Dopo la laurea, i fab-four dell’architettura hanno preso strade diverse, per unirsi definitivamente venti anni fa sotto la sigla AvroKO. Ecco la fantastica storia di uno degli studi più quotati e apprezzati del momento
Appassionati di design o meno, c’è sempre un momento in cui chi si trova a passare per uno spazio di carattere pensa: “Wow, che bello!”. Ecco, Studio AvroKO lavora per creare ambienti ed emozioni di questo tipo, puntando tutto su uno stile senza tempo, sviluppato con sensibilità e lungimiranza. Fondato nel 2001 da quattro amici – Greg Bradshaw, Adam Farmerie, Kristina O’Neal e William Harris – AvroKO è oggi una realtà internazionale che opera nelle sedi di New York, San Francisco, Bangkok e Londra. Il vastissimo portfolio di lavori comprende uffici, bar, hotel e ristoranti sparsi in 22 paesi e 32 città, tra i clienti società del calibro di Goggle, Dropbox, Park Hyatt, Shangri-La, Michael Mina, Ritz-Carlton e Waldorf Astoria.

I quattro soci si sono incontrati tra i banchi di scuola. Raccontano: “Tutto è iniziato all’università, gravitavamo naturalmente uno attorno all’altro. Prima eravamo semplici amici, poi abbiamo iniziato a collaborare facendoci vicendevolmente molte critiche costruttive. Dopo gli studi William e Kristina aprirono una società chiamata KO Media Studio, che si occupava di marketing e brand image; Adam e George si unirono come architetti sotto la firma Avro. Poi un giorno arrivò una commessa da un marchio di moda che desiderava rinnovare la sua immagine a 360 gradi, dalla grafica coordinata ai negozi. Abbiamo unito le forze ed è stato molto bello, così abbiamo deciso di unirci fondendo i nostri nomi in AvroKO”.

In venti anni esatti di attività, il team ha raggiunto quota 120 collaboratori e ha ampliato la propria offerta di consulenza, aprendo nuove divisioni specializzate in settori precisi. Lo scopo, e il punto di forza di AvroKO, è fornire un servizio di design integrato – dall’interior alla grafica, dall’illuminazione alle installazioni d’arte – creando spazi in cui tutto è coerente, anche i dettagli più minuti. BrandBureau si occupa di hospitality strategy con prospettiva “umanocentrica”, per creare esperienze olistiche. GoodShop Manufactures si concentra sulla realizzazione di mobili e lampade tailor made, seguendo l’intero processo, dal concept alla produzione. Infine, AvroKO Hospitality Group fornisce servizi per l’ospitalità, dalle consulenze food & beverage all’operation management.

E a dimostrazione delle proprie capacità, lo studio AvroKO ha anche scommesso su se stesso aprendo nel 2003 Public, un ristorante completamente autofinanziato dai soci nel quartiere NoLIta a New York. Presto diventato uno dei punti di riferimento della ristorazione nella Grande Mela per il perfetto balancing tra cucina ricercata e interni ispirati agli uffici pubblici degli anni Trenta e Quaranta, il locale ha chiuso i battenti nel 2017 all’apice del suo successo. Anche questa è stata una scelta vincente, che ha reso Public un vero e proprio mito a livello globale. Ma qual è il segreto della buona progettazione? “Noi seguiamo una regola, che in realtà è un marchio registrato di AvroKO. Usiamo il termine ‘hospitable thinking’, quindi, in sostanza, cerchiamo di dare davvero importanza alla psicologia comportamentale, per coinvolgere attivamente le persone nei nostri interni. Questo è il motivo per cui i clienti ci cercano, e non solo per disegnare bar, ristoranti o alberghi. Veniamo contattati anche per studiare uffici, negozi al dettaglio, grandi showroom”.

Se ogni progetto è come un figlio, che viene cresciuto giorno dopo giorno con dedizione e amore finché è pronto a proseguire la propria vita da solo, ogni architetto ha il suo “cucciolo” preferito. Quello di AvroKO è il ristorante cinese Nan Bei, all’interno del Rosewood Hotel di Bangkok. “Si tratta di un posto magico, di evasione, la committenza ci ha permesso di sperimentare soluzioni e materiali distanti dalla tradizione cinese. Il concept si basa sulla favola tradizionale del mandriano di mucche e della tessitrice: la storia parla di un amore proibito, di due amanti che possono incontrarsi solo una volta all’anno su un ponte.

L’ingresso, così, è un grande atrio, perfetto per collocare un’opera d’arte, un’installazione site specific con 800 uccelli in rete metallica di ottone che fluttuano a mezz’aria, circondati da centinaia di piccole luci led che creano un cielo stellato. Solo quando si guarda la composizione da un lato si percepisce la forma di un ponte, osservandola frontalmente non si percepisce il suo andamento ma si viene colpiti ugualmente dalla sua forza scenografica. Ci è piaciuto molto anche l’uso di colori non tradizionali. Abbandonato il rosso abbiamo optato per una tonalità particolare di blu scuro, che rimanda a quelle della lacca ma si distacca dalle immagini stereotipate dei ristoranti cinesi”.

Chiamati a progettare in tutto il mondo, gli architetti hanno un particolare rapporto con le culture locali. “La specificità geografica è molto importante, bisogna conoscere lo stile autoctono di una nazione o di una città, i materiali più diffusi e le potenzialità dell’artigianato; cerchiamo di sostenere le produzioni locali. Ad esempio la Thailandia è nota universalmente per gli oggetti raffinati in legno e ceramica, per questo abbiamo chiesto a un artista del posto di realizzare una scultura lignea per The Champagne Bar al Waldorf Astoria Bangkok. Il risultato è qualcosa di mai visto, perché la manualità dell’artigiano si è unita alla nostra sensibilità”.

È invece un adorabile fuori-luogo il Lennon’s, un bar in stile speakeasy situato all’ultimo piano dell’hotel Rosewood di Bangkok, con particolari che strizzano l’occhio alla Secessione Viennese. Ma ogni progetto ha la sua specificità e non assomiglia a nessun altro. Per il ristorante Union di Pechino, nella zona dove risiede e si ritrova la comunità diplomatica internazionale, AvroKO ha scommesso tutto su uno stile che richiama gli interni modernisti del XX secolo.

Nello specifico, l’ispirazione è stata la figura di Lucie Rie, che usava il suo studio non solo come spazio di lavoro, ma anche come un versatile social club, luogo di incontro e di aggregazione. Per questo il ristorante è impreziosito dalla cospicua presenza di opere d’arte, sculture e oggetti che lo trasformano quasi in un museo.

Particolarissimi e pluripremiati anche due progetti di hotellerie per certi versi “anomali”, che escono dagli schemi e lo fanno con uno stile davvero ineguagliabile. Il primo è il 1 Hotel a Manhattan: un omaggio a Central Park, polmone verde e rifugio naturale al centro di New York. Un hotel che è un connubio perfetto tra design green ed esperienza di lusso, nel quale gli interni sono completamente ispirati alla natura.

Mentre l’altro è l’originalissimo Calistoga Motor Lodge, a metà strada fra tradizionale motel anni Quaranta e camperismo vintage. Un nostalgico omaggio a uno dei simboli dell’american dream, che oggi rivive all’insegna dell’ospitalità contemporanea.

Esistono dei trend nell’interior design? A questa domanda William Harris risponde così: “Preferisco usare la parola evoluzione invece di tendenze, perché penso che l’ospitalità sia un ambito in continuo divenire. Ad esempio, il tema della sostenibilità sta diventando di giorno in giorno più importante e non credo sia un trend, ma un’evoluzione, un tema che viene tenuto sempre in crescente considerazione. Un altro cambiamento che stiamo vivendo è la fusione di funzioni differenti, ci sono spazi dove il co-working incontra il co-living, l’hotel e il cibo. Faccio spesso riferimento all’Eaton Hotel di Hong Kong. È un nuovo brand in cui abbiamo creato l’intero ecosistema e va proprio in questa direzione. L’albergo comprende postazioni per il lavoro smart, una grande food hall e possiede una propria stazione radio e un teatro con programmazione dedicata. In definitiva, penso che l’abbattimento dei confini netti e il mashup dei diversi servizi sia il nostro maggiore obiettivo“.

Ed è all’insegna della contaminazione anche l’ultima realizzazione targata AvroKO, l’hotel Canopy by Hilton Philadelphia Center City, all’interno dello storico Stephen Girard Building e ispirato all’età d’oro dei department store che all’inizio del XX secolo hanno definito l’attuale esperienza dello shopping. In tutti gli ambienti pubblici gli arredi ricordano gli espositori dei negozi, con decine di cassetti e scompartimenti. In un insolito mix, l’albergo omaggia anche la cultura hip-hop della città attraverso l’uso di colori forti, particolari metallici e tessuti riccamente decorati in un affastellarsi di dettagli che richiamano l’estetica dell’universo rapper.